«CHI CERCA L’INFINITO NON HA CHE DA»… leggere

«Chi cerca l’infinito non ha che da»[1]… leggere
«Quando penso a tutti i libri che mi restano ancora da leggere, ho la certezza di essere ancora felice»: quale dichiarazione più calzante, per un bookaholic, di questa nota citazione di Jules Redard?
Persino la regina protagonista di La sovrana lettrice di Alan Bennett (Adelphi, 2007) concorda di «non conosc[ere│ piacere più grande che trovare un autore che am[a] e poi scoprire che non ha scritto solo un paio di libri, ma almeno una dozzina». Del resto, si accorge la monarca, la lettura è «un muscolo» che è possibile allenare.
Ma nei suoi esordi da novella lettrice non sono mancati «trepidazione e un certo nervosismo»: «si perdeva di fronte all’infinita quantità dei libri e non aveva idea di come procedere; leggeva senza metodo, un libro portava a un altro e spesso ne iniziava due o tre contemporaneamente».
«La letteratura mi appare come un vasto paese dai confini remoti, verso i quali mi sono diretta ma che non mi sarà mai dato raggiungere», annota la regina dopo un anno di letture.
E, come autrice di questo blog, dinnanzi all’incommensurabilità del cosmo letterario e narrativo, non posso che condividere con lei un certo senso di inadeguatezza.
Dobbiamo – ahinoi e per fortuna – rassegnarci all’idea che «i libri del mondo, tutti insieme, sono come dicono sia l’universo, infiniti» (Saramago, Cecità, Feltrinelli, 2013) e che «nessuno riesce a leggere nemmeno la centesima parte di tutto» (Tim Parks, Di che cosa parliamo quando parliamo di libri, Utet, 2015).
Anche Nick Hornby, che vive Una vita da lettore (Guanda, 2006), riconosce in Shakespeare scriveva per soldi (Guanda, 2009) che «il problema della lettura è che non finisce mai». «L’altro giorno», riporta nella sua rubrica di recensioni, «ero in una libreria a sfogliare un volume che si intitolava più o meno I 1001 libri da leggere prima di morire (Atlante, 2008)» – che, per inciso, mi sono fatta regalare un Natale di anni fa – «ma da lettura nasce lettura – è proprio questo il punto, no?».
Che fare, allora? «Il pregiudizio non può non avere una parte importante nel nostro processo decisionale, quando si tratta di letture, altrimenti finiremmo sommersi dai libri». Rassegniamoci, dunque, a malincuore, a un’inevitabile selezione.
È proprio, però, a quest’idea di sfuggevolezza dell’infinito libresco che credo di poter attribuire, almeno in parte, la mia predilezione per i libri cartacei: «possedere l’oggetto – Guerra e pace o I promessi sposi – e ordinare questi e altri classici in base alla cronologia e alla nazione di origine», ci ricorda Tim Parks, «ci darà un’illusione di controllo, quasi avessimo “acquisito”, “assimilato” e “collocato” vari pezzi di cultura».
Per mio conto, assecondo altri criteri nella disposizione dei libri, ma non posso negare che vederli incasellati in bell’ordine nelle mie librerie mi offre il conforto del tangibile e un’illusoria idea di padronanza.
Un opposto conforto lo ricavo, però – neanche a dirlo – dagli infiniti mondi, vite ed esperienze in cui la lettura – antidoto alla nostra finitezza! – notoriamente ci cala.
Vi sentite, talvolta, spaesati anche voi di fronte all’infinitezza delle letture possibili?
[1] Milan Kundera, «chi cerca l’infinito non ha che da chiudere gli occhi».